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Essay | di fuga e di ombre: gli autori meridionalisti nella costituzione dell'Europa

L'universo della letteratura meridionalista è assai vasto e nel suo insieme, tra la poesia e la narrativa, si palesa un mondo di idee, di poetiche che non è difficile identificare con una sorta di europeismo da una parte e superamento di un certo materialismo dall'altra. Non è difficile riscontrare, a mio avviso, la summa del pensiero di certi autori nella teoria del Manifesto di Ventotene editato nel'41 da Altiero Spinelli e compagni che, pur non essendo del sud, per assurdo, manifestano in esso l'idea liberal-socialista già presente in vaste aree letterarie del nostro meridione.


La letteratura meridionalista è infatti la più universale della corrente dei regionalisti e forse la più vicina in termini culturali al mondo degli autori d'oltralpe. Certo, detta così e su due piedi, la cosa può sembrare strana ma se scendiamo nei particolari, citando opere e narrative e di poesia, ci accorgiamo che negli scrittori del sud italiano, del nostro Mezzogiorno e nell'area geografica identificabile e con il regno delle due Sicilie e con il bacino del Mediterraneo, questa peculiarità emerge con totale disinvoltura.


Lasciando da una parte i grandi autori nati in Sicilia come nel resto del Sud, i nomi altisonanti come Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, ma già in questi e prendendo in considerazione i così definiti minori si spalanca ai nostri occhi una grande verità: un vero universo di idee che collimano, in una presa di posizione a livello ideologico e stilistico autentica e presso a poco unica nel suo genere, con un certo spiritualismo europeo del novecento. Non a caso, riscontrai in un'altra occasione come dall'esperienza lucana Carlo Levi scrisse il Cristo si è fermato a Eboli, che rimane il primo romanzo antropologico, l'archetipo nel suo genere, di una nuova forma narrativa. Dall'esperienza del Levi, maestro a sua volta di Rocco Scotellaro e di tutti gli altri autori e lucani e meridionali, l'avventura letteraria mediterranea trova un proprio slancio ontologico.

Ma andiamo con ordine.


La disquisizione si deve concentrare sul fatto che dalle sponde del Tronto sino ad arrivare nella valle del Belice e oltre risalendo, in un itinerario da cartolina, sino alla Sardegna non è difficile ammettere che tutte le voci letterarie pare si fondino in una unica grande e universale voce. Una voce che è una denunzia sociale ma che al contempo va oltre la denunzia medesima; una voce che per contenuti, per essenze di significato parla della storia e delle vicissitudini dovute ad essa superando la semplice lettura hegeliana, quindi materialista in un secondo tempo o marxista che dir si voglia, in quanto l'apologia storica e che non viene letta da una lente di resa dei conti, di liberazione sociale o di prevaricazione delle classi medio-alte su quelle minute (almeno non solo in questo, e comunque non in termini politici) e il teatro nel quale si consuma il dramma dell'esistenza (unica storia possibile o disquisizione crociana), che è la provincia, è sempre legato alla terra. Il dolore della storia non è quindi una passione trascendentale ma fisica. Nel grande laboratorio meridionalista avviene ideologicamente una rivisitazione dell'estraniamento e del dolore: la sofferenza è fisica.


Questa rivisitazione alimenta, per non dire che allestisce un nuovo mito che dalla provincia, dal regno di spettri e ombre; dalle campagne della grande fuga (per calamità naturali, per povertà, per sottomissione politica, e comunque diverse sono le ragioni), gli autori meridionali sviluppano in contemporanea al resto dell'Italia un proprio universo mitologico, una propria dimensione vitae che non prevarica le altre ma con esse si compensa. Il mito meridionale diventa per stile, quindi per forma, ed è connesso all'osso del contenuto, europeo: nell'avanzare e nel compimento del proprio mito anche per lo stile tutto ciò che è provinciale viene disintegrato da uno spiritualismo tutto suo, perciò è uno stile interscambiabile, molto vicino agli autori dell'Europa. Asciutto ma tagliente al contempo, ricco di dialoghi diretti, di lunghe sequenze itineranti, esplicita una posizione ideologica non lontana dai grandi maestri di Dublino o Londra di Parigi o Vienna. Seguendo un percorso esistenziale abolisce ogni forma di io sia nella poesia sia nella narrativa e abbraccia e nell'un caso e nell'altro un simbolismo naif, popolare, e un imagismo che per assurdo, per la regola delle regole del paradosso molti poeti sono familiari e complementari ai colleghi russi.

Se per la narrativa, infatti, sempre per paradosso molti scrittori guardano per lo stile all'America di Faulkner e di Steimbeck, per eccessivo realismo - e non è un caso che Vittorini stesso fu uno dei pionieri dell'America in Italia - privilegiando il dialogo diretto – dove si annida l'aspetto ideologico - le descrizioni naturaliste a cominciare da un certo scientismo portato in auge da Giovanni Verga con vita nei campi, per la poesia quel realismo subisce una metamorfosi diventando simbolismo e quindi, successivamente, imagismo. Non è un caso che le poesie di Alfonso Gatto siamo molto vicine e per stile e per spirito (anche se si differenziano per contenuto) a quelle di Esenin.


Uno stile che getta le basi per un nuovo realismo nella narrativa al punto di avanzare un genere proprio che se da una parte è naturalista, messaggero del vero, della pura realtà tipica di certi americani; dall'altra palesa una intelaiatura politica propria. Il caso è subito detto: molti di questi autori nei romanzi, in quel magma di eventi, in quella dialettica continua tra stile e contenuto, cimentano le basi per una propria posizione politica.


Ecco allora che dal nord del Mediterraneo, dalla Sardegna del Campidano Giuseppe Dessì in Paese d'ombre, denunciando la questione dei baronati e delle chiudende (le recinzioni di muri in pietra delle aree adibite a pascolo e demaniali) avanza un certo federalismo liberale che ristabilisce in termini giuridici e ideologici il rapporto tra soggetto e stato. Un rapporto messo in evidenza dallo stesso Corrado Alvaro che nello Uomo è forte per finzione crea una atmosfera politica paradossale che allude al fascismo vissuto in Italia ma che permette all'autore calabro addirittura, sempre per paradosso, di andare oltre al genere della fantascienza. Allo stesso modo la nuova definizione di soggetto-stato si può trovare in Ignazio Silone come in Francesco Iovine, allo stesso modo, volendosi calare nella grande capitale del sud l'antica Partenope, in Domenico Rea nella sua SpaccaNapoli o in Ninfa plebea, dove Nocera Inferiore, paese natale dello scrittore diventa mito letterario che prevarica e va oltre la topografia geografica della cittadina campana.


Allo stesso modo avviene per Michele Prisco per il romanzo gli Eredi del vento, in cui Napoli è una città universale e sinistra, dove la storia non si consuma per leggi fisiche – per causa e effetto - ma per un dolore metafisico, trascendentale e paradossalmente materiale e concreto. Nella epopea di Francesco Jovine il Molise diventa sì terra di soprusi ma il realismo americano del suo autore oltre a ristabilire una equazione politica dando una lettura dei fatti, diventa autore fisico per eccellenza partendo dal ribattezzare il Molise in Terra del Sacramento. E gli esempi possono essere ancora molti.


In poesia emerge e si delinea nitidamente un certo imagismo che è facile riscontrare e in Alfonso Gatto e in Rocco Scotellaro. Se l'autore salernitano è molto simile e si accosta con disinvoltura a certi poeti russi da Pasternak a Esinin, Scotellaro con la raccolta Margherite e Rosolacci assume un tono elegiaco, quasi universale. Smonta quell'io che diventa un noi, diventa coscienza collettiva, si fa insieme, e paradossalmente, pur essendo lontano e geograficamente e culturalmente, abbraccia somiglianze impressionanti con le atmosfere sia della poesia sia della narrativa di Joyce. Non è difficile per rilevare questa similitudine leggere l'Inno a Lenin, oppure i versi della tagliola, in cui l'autore di Tricarico oltre che a palesare la propria idea politica per stile ricalca, e lo fa senza cognizione per istinto, quello del Joyce poeta.

Allo stesso modo lo Sciascia poeta della plaquette La Sicilia il mio cuore, ad esempio, incarna quello spirito francese riscontrabile nei poeti dell'inferno.


Infine, ma non per ordine di importanza, è bene dare un'occhio alla questione politica accennata sopra che non è affatto scontata. Se per certi versi letture sommarie hanno evidenziato un certo federalismo e una certa indipendenza politica e geografica rispetto al resto dell'Italia, questa lettura deve essere considerata europea e non classista e non nazionalista o campanilista. Gli autori del sud, del bacino settentrionale del Mediterraneo, che come abbiamo visto se pur per sommi capi va dal Tronto al Campidano sardo, hanno anticipato politicamente i tempi e cavalcando la celebre tigre di Dalì hanno instaurato un certo europeismo, o meglio un pronunziato federalismo europeo che era intrinseco nelle loro opere.


Un federalismo all'americana che a loro modo hanno proposto non partendo da concetti teorici bensì letterari allestendo quella nuova mitologia simbolista, imagista, metafisica che politicamente trova la sua summa nel Manifesto di Ventotene. Si tratta di una idea politica precisa, pur sempre attuale, lontana dall'hegelismo o dal marxismo così come è ben lungi da un certo liberalismo nazionale alla Benedetto Croce. In loro l'idea di un federalismo europeo che solo Cattaneo e pochi altri hanno saputo teorizzare era un modo di guardare all'America dei diritti umani, alla riscossa della propria terra. E sempre per paradosso anche certi filosofi meridionalisti di natura marxista – da Vincenzo Cuoco a Antonio Labriola - travalicano la loro posizione iniziale per dare uno sguardo inedito alla nuova religione della Società umana che in qualche misura pare far parte della loro essenza.


Un federalismo universale che come abbiamo visto non solo determina una riforma nello stile e nei contenuti come nel genere – la nascita del romanzo antropologico ne è un esempio - ma ontologicamente per istinto dà il nome a un certo riscatto morale, quella dignità difesa che ricorda un rimorso antico; un risorgimento spirituale atto a risollevarsi da quel senso di sopruso che, come evidenziò lo psichiatra Louise Fallet, è preda di tutte le popolazioni che sono state soggette a essere colonia o oggetto di soprusi di stato.


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