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Essay | Leonardo Sciascia: la storia divisa tra vinti e vincitori

L'avventura letteraria di Leonardo Sciascia nel panorama culturale italiano ed europeo deve essere considerata una delle migliori prove di stampo liberale che l'Italia abbia mai avuto. È da intendersi che liberale qui si associa come sinonimo di illuminista, nel senso che il buon Leonardo guardava a certi autori francesi e a una certa cultura settecentesca dal gruppo degli Ideologues sino a Voltaire (di quest'ultimo in particolare) con assidua attenzione. Un'attenzione sicuramente atipica, che fa dello scrittore agrigentino da una parte uno dei capostipiti di un certo meridionalismo, dall'altra un apogeo, un esponente, uno dei pochi se non l'unico, a poter essere definito europeo.


Sta di fatto che le due matrici, sia quella meridionalista sia quella europea, convivono in Sciascia e danno equilibrio alla sua poetica. Una poetica meridionalista, più accentuata nelle opere degli esordi; le poesie da una parte, la narrativa d'inchiesta dall'altra, che vive nella tensione drammatica di un certo realismo campestre e di un certo lirismo ellenico, e il romanzo antropologico. Mentre l'aspetto europeo sta soprattutto nel centrare la propria opera – da qui a mio avviso la passione per il civile e il sociale – mediante un empirismo che ha ereditato da certi autori, insomma per certi versi tipico della scuola di Voltaire. Un empirismo che lo porta a un dialogo serrato, dove da una parte c'è il nero e dall'altra il bianco, o il rosso e nero, come se la storia, una intera civiltà, fosse scacchiera di postazioni e di ruoli pirandelliani (altro suo riferimento prossimo per questioni anagrafiche e culturali), con il proprio tempo.


Da qui la differenza – che lo accompagnerà per tutta la vita- sciasciana. Una differenza figlia di un empirismo, di una intuizione capillare che fa di esso prima dello scrittore e prima del poeta, prima del drammaturgo e prima dell'intellettuale, l'osservatore eccellente. E questo è chiaro nel libro narrativo d'esordio le Parrocchie di Regalpetra, dove Leonardo, reduce dall'esperienza di poeta, adesso si cala nei panni scomodi di un osservatore ed analizza razionalmente – non c'è traccia in lui del misticismo tipico di certi autori meridionalisti, come ad esempio Scotellaro e Jovine- i fatti che lo circondano. Se nelle poesie della La Sicilia, il suo Cuore, l'autore propone una visione di Racalmuto velata di un certo pathos, se pur asciutto, di un certo ambiente paleo-industriale e può essere associato al pari – intendo come tensione drammatica, come stilismo, come forza cromatica- ad uno Scotellaro di Margherite e rosolacci, di Si è fatto giorno, se può accomunarsi alle poesie mistiche di Landolfi (meridionalista solo nelle poesie anche se forte la lezione di Borges), vicino ad un certo lirismo partenopeo di Di Giacomo pianeforte e' nott, vicino ad Albino Pierro e alla descrizione arabesca dell'appennino materano, nelle Parrocchie di Regalpetra la prospettiva muta compiendo una rivoluzione.



Stessa sorte avviene in Todo Modo, dove nei panni dell'osservatore, io narrante, c'è il pittore che si trova a viaggiare per la campagna siciliana e che a causa di un forte temporale, chiede di pernottare in questo magnifico eremo che scopre essere poi un albergo dove diventa punto di osservazioni di ruoli, di subordinazioni di parti di certi personaggi della politica provenienti da Roma. Un punto di osservazione che rafforza nel romanzo successivo, La scomparsa di Majorana, in cui Sciascia si interroga cercando di ricostruire i retroscena possibili sulla scomparsa del fisico del suo viaggio tra Napoli e Palermo. Un viaggio senza ritorno.

Ora l'empirismo, l'attenzione sociale e politica, e della Sicilia e per l'Italia intera che anticipano lo Sciascia politico (deputato tra le fila del Partito Radicale), si trasfigura in una lucidissima metafora con la trascrizione di uno dei capolavori di Voltaire: il Candido, il cui sottotitolo, alla Leonardo, diventa un sogno fatto in Sicilia. Ed ecco di nuovo la Sicilia come punto di osservazione originale, anche se dietro una lente più europea, dalla cui lettura emergono difetti del tutto italiani, attraverso il viaggio di questo ottimista (l'intellettuale) che si divide tra Palermo e Milano.


Tuttavia, detto questo, è ovvio che la rivoluzione sciasciana sta nell'attenzione politica dei fatti, in quella tradizione non soltanto illuministica ma liberal-socialista che richiama alla mente, volendo analizzare un retroterra culturale, quei teorici di un socialismo liberale che a livello inconscio erano presenti in lui già a partire dalla sua prima opera di poesia, ossia: i compagni di strada fondatori del partito d'azione prima e del partito radicale dopo (il partito dello scrittore), le cui idee vennero espresse in teorici saggi come la Rivoluzione liberale di Gobetti, il Socialismo liberale di Carlo Rosselli, Il manifesto di Ventotene di Spinelli, La società umana di Cattaneo, infine gli scritti politici e civili di Ernesto Rossi e l'universo di azionisti e liberali libertari che s'aggirava attorno al settimanale il Mondo diretto da Mario Pannunzio. La lotta di Leonardo diventa quindi una lotta incentrata sui diritti civili, nello studio lucido – sempre su di un piano empirico - del diritto giurisdizionale, della civiltà siciliana nello specifico a livello antropologico - sociale e italiana a livello giuridico.


Ecco allora che la scrittura rafforza l'amore per la democrazia, se pur ammalata da sistemi corrotti e deviati non di ordine piramidale bensì di natura reticolare, l'amore per un certo ideale di federalismo non finanziario ma culturale, federale europeo. Un'idea democratica e socialista di stampo liberale presente nelle pagine di un altro suo collega meridionalista (per forza di cose e non di nascita) Carlo Levi; il quale nella sua opera maggiore Cristo si è fermato ad Eboli, si sofferma a discutere della questione meridionale proiettandola in vasta scala su di un piano italiano, nazionale ed infine europeo. Per Carlo Levi la faccenda meridionale non era legata ad una questione relativa al fascismo ma questa si sarebbe perpetuata anche in una democrazia futura e nei governi di destra e in quelli di sinistra. Potenziali governi o meno. Lo stesso Levi denuncia attraverso un romanzo antropologico come Sciascia la caduta del governo di Ferruccio Parri nell'opera meravigliosa l'Orologio.


Come Leonardo Sciascia anche lui meridionalista, anche se non impegnato in politica, Levi indaga attraverso una nuova forma di romanzo le vie della società italiana, intrecciandosi con Leonardo nella Sicilia delle Parole sono pietra e con la Sardegna di Giuseppe Dessì con Tutto il Miele è finito.

Quindi il percorso tutto in ascesa che compie Leonardo Sciascia con l'introduzione in Italia di un certo tipo di romanzo, per certi versi fantapolitico, per altri antropologico è pressoché unico e irripetibile. Si tratta di quella rivoluzione che si compie attraverso la scrittura, attraverso la necessità di razionalizzare sui fatti mediante l'uso della narrativa. Una forza, una rivoluzione, e questo è il dato inedito prima di Sciascia e Levi, che fa del romanzo un'indagine di parole, di esercizi stilistici: un affresco privo di retorica.


È il caso di Porte aperte e poi del Contesto nelle cui pagine il padre Pirandello viene superato poiché affiorano elementi di altra natura. Il romanzo diventa antropologico, diventa scientifico, in una sola parola: il testamento spirituale che aspira a teorizzare le basi di uno stato laico, lontano da politiche deviate e criminali.


La figura dello Sciascia in questo trova spessore anche nel deputato Radicale che proprio in quegli anni lottava per la verità sullo Affaire Moro, come partito di commissione di inchiesta sul rapimento Moro e promotore di referendum sulla responsabilità civile del magistrato con annessa separazione delle carriere. E Leonardo si trova a dialogare in parlamento come se stesse scrivendo una storia, attento a soverchiare ogni scatola cinese, ogni ombra che stenta ad eclissarsi. Insomma, svolge il ruolo di un parlamentare solitario di un partito non di massa il cui senso civico era presente in lui sino in quel lontano 1953 anno di pubblicazione delle Parrocchie. Un senso che prosegue sino al giallo di una Storia Semplice del 1989, e per la lunga carrellata di saggi editi dal 1979 al 1987 nati in seno all'esperienza radicale. La politica, il suo ruolo di deputato della repubblica non lo allontana dalla scrittura, neppure per un momento, perché Sciascia è consapevole che il suo mezzo per arrivare alla verità è e rimane la letteratura, la passione sociale, antropologica, il desiderio (riuscito) di superare i padri come Pirandello gli Ideologues francesi, lo stesso Voltaire che lo accompagnerà sino alla morte con un epitaffio inciso sul marmo del sepolcro di Leonardo nel cimitero di Racalmuto.


La scrittura quindi diventa determinazione, lo scrittore un baritono la cui voce potente è una voce di denuncia e anche se ferita, mangiata dal fumo continua a farsi sentire. E la somiglianza, la similitudine con Carlo Levi qui è forte. Carlo infatti cieco e anziano non rinuncia alla sua ricerca intellettuale e attraverso un marchingegno da lui progettato con chiodi e fili di canapa scrive il Quaderno a cancelli, il più rivoluzionario libro di Levi; proprio perché scritto e concepito alle estremo delle forze.

Entrambi i colleghi sono infatti consapevoli, prendendo in prestito le parole di Giorgio Manganelli, che la verità politica istituzionale, democratica e antropologica, storica e quant'altro, sta nelle parole, perché l'uomo alberga, abita nelle parole anche se queste combinano un linguaggio messe assieme, ed il linguaggio di per sé non è sufficiente ad essere laconico: necessita di interpretazione.


E il linguaggio va oltre le parole, si combina con i fatti in una nazione lontana da le istanze lucide di uno stato laico i cui valori tradizionali sono azzerati, ove la presenza di un governo non è mai invadente, anche se percettibile; dove la morale della vita sociale si identifica in quei valori civili come la libertà di scelta e di pensiero, di credo e di convivenza etica. Un contesto che Sciascia vedeva possibile ma che era allontanato da forze criminali, da organizzazioni di stampo mafioso, da intrecci tra stato e mafie in cui il cittadino non ha alternative: o fa la storia e la decide o la subisce.


Ecco allora, scendendo da un piano teorico ed utopista, restando dalla parte di chi legge il mondo attraverso le lenti di un illuminismo progressista, che l'opera di Sciascia, l'universo di Leonardo dai suoi primi lavori dà voce a chi la storia è costretta a subirla, cioè ai non protagonisti il cui dramma della esclusione lo si respira ad ogni lettera, ad ogni virgola. Un'esclusione da parte di chi fa la storia che assieme a Renato Guttuso lo spinse a candidarsi anche al più ortodosso dei partiti il PC, nelle file del presidio regionale. Un episodio che se a livello biografico ha sfiorato soltanto Leonardo, ha invece influito sulla letteratura da lui pensata e scritta. Una letteratura che come abbiamo visto è una ricerca sulla verità dei fatti, sullo stato delle cose; il dramma feroce che inscena il gioco di voci, di ruoli, di subordinati e dirigenti, di onorevoli e cavalieri, di farmacisti e capitani. Un palcoscenico che per citare Lacan resterà in preda ad una sofferenza in quanto l'incomprensione, l'equivocità dei fatti deriva dal linguaggio e il mondo è linguaggio. Il reale non esiste: il reale è linguaggio. Un carnevale di maschere che dividono quell'esserci ontologico tra il subire ed il fare, tra protagonismo ed antagonismo. Un fare vertiginoso in cui l'escluso non ha possibilità di riscatto e il protagonista criminale la volontà di redimersi.


L'Italia diventa così affetta da quella sicilianitudine fatta di malvagità, di crac, di malaffare, di scambi di favore; una slavina di scandali affioranti dalle colonne dei quotidiani, delle riviste, dai plinti dei palazzi costruiti tramite tangenti su piani regolatori inesistenti e poi sul sangue di magistrati uccisi, sulla rabbia di personaggi destituiti dai propri ruoli. Un Italia che come Dio se da una parte dà dall'altra prende, senza esclusione di colpi di scena, senza una buona dose di dolore da provare.


Ecco allora che l'universo di Sciascia diventa un documento di verità per un paese estraneo alla verità e la voce di Sciascia baritonale. Un baritono, lo scrittore, che si esibisce su di un palcoscenico senza luci,la cui vista sul pubblico è preclusa dalle tenebre ma che nonostante questo continua a cantare: gridando la propria umana verità.


* Il saggio è apparso in una prima versione all'interno del volume Leonardo Sciascia, cronista di scomode realtà (a cura di Lorenzo Spurio, AA. VV., PoetiKanten, 2015) e viene qui ripubblicato per gentile concessione dell'autore.

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