Giorgio Manacorda, Alfonso Berardinelli e Walter Siti hanno dato vita a una nuova rivista per Castelvecchi: L'età del ferro. La notiamo per la prima volta durante la precedente edizione della Nuvola a Roma. Cominciamo a sfogliarla... e ci rendiamo subito conto che non si tratta solo di una rivista letteraria. Così, in occasione dell'uscita del terzo numero, il nostro Antonio Merola ha cercato di capirci qualcosa di più.
A cura di Antonio Merola
YAWP: “Giorgio Manacorda, Alfonso Berardinelli e Walter Siti: a chi viene per primo l'idea di una rivista? E come nasce il triumvirato?”
GIORGIO MANACORDA: “L’idea non è nostra ma di Pietro D’Amore - ovvero Castelvecchi - il quale mi ha proposto di fare una rivista, così, per caso, chiacchierando. Io ho risposto che no, che non ne vedevo la necessità, e poi non mi andava. Pietro mi ha detto di parlarne con Alfonso. Io l’ho chiamato sicuro che mi avrebbe detto di no, invece mi ha detto di sì. Così abbiamo cominciato a pensarci. Ci abbiamo pensato per un anno, più o meno. Un giorno lo abbiamo detto a Walter, e siamo partiti davvero”.
YAWP: “Perlopiù, una delle motivazioni per cui un gruppo di giovani fonda una rivista è per cercare di avvicinarsi al mondo editoriale. Ma quando lo fanno degli esperti viene invece da chiedersi: perché? C'è qualcosa che manca alle riviste già esistenti? Se ora vuoi scuotere l'impero, noi non ci offendiamo mica”.
GIORGIO MANACORDA: “Forse mancava qualcosa a noi, anche se non ne eravamo consapevoli: un luogo a metà strada tra il giornale e il libro. Un luogo in cui la letteratura non fosse per abatini più o meno specializzati, ma il luogo della letteratura come conoscenza. Forse stiamo sperimentando uno spazio di intervento. Una nuova forma di engagement? E poi una grande libertà di scrittura. Saggistica, narrativa, poesia e la mescolanza di tutto ciò. Io ho scritto un saggio in versi, per esempio. Una rivista ha la faccia di chi la fa”.
“...Impero? Quale impero?”
YAWP: “L'età del ferro potrebbe avere una doppia interpretazione: essere tornati alla preistoria (magari una preistoria letteraria) però al tempo stesso anche che stiamo per uscirne – visto che prima del ferro esiste il bronzo e la pietra. Siamo davanti a una regressione o al confine di una età che sta per venire e che non conosciamo ancora?"
GIORGIO MANACORDA: “Capisco che è un nome un po’ strano per una rivista. Il bello è che ognuno lo può leggere come gli pare, quindi produce senso e significato, proprio come una poesia”.
YAWP: “Quando scrivete nel vostro manifesto che «esiste un problema di ecologia della cultura, ovvero di ecologia di quello che siamo» è evidente che con il termine ecologia in questo caso intendiate qualcosa di più che il semplice riciclo della carta”.
GIORGIO MANACORDA: “Ecologia è una metafora per dire che assistiamo a un collasso culturale – o almeno questa è l’impressione, poi chi vivrà vedrà. Diciamo che “quello che siamo” non è riducibile alla tecnologia, e forse sarebbe “sano” riscoprire la letteratura come gnoseologia”.
YAWP: “E che cosa intendete invece con biopoetica? In qualche modo la risposta potrebbe essere nella sua recensione-poema Un uovo di farfalla [n.d.r. la recensione compare nel secondo numero della rivista, 2018] a Michele Cometa quando scrive:
è pura distruzione se scheggiare la selce e farne un'arma non è un'attività proprio neutrale, non è banale, è il duro potere la conseguenza del triste pensiero industrioso industriale […] Ma questa è la salvezza se all'origine il fare era poiein, creare in habitat terrificanti la sopravvivenza
e più in generale quando si interroga sulla causa antropologica della poesia?”
GIORGIO MANACORDA: “Sul numero tre dell’Età del ferro c’è un mio intervento che (rispondendo agli interventi di Casadei e Gervasi) chiarisce la mia posizione. In questa telefonata il discorso sarebbe troppo lungo e complesso. Condivido, comunque, l’idea che l’arte sia un bisogno antropologico (credo di essere stato il primo in Italia), ma per il resto sono in dissenso con i teorici della biopoetica. Nome peraltro sbagliato non trattandosi di poetiche ma di teorie letterarie”.
YAWP: “Un uovo di farfalla oltre a essere una maniera originale di recensire qualcosa, è anche un lungo poema che ha come soggetto principale la metanarrativa: in primo piano, che cosa sia la poesia. E colpisce il fatto che in più parti del testo la poesia venga paragonata al romanzo – come per esempio qui:
Solo la poesia è letteratura altrimenti è solo una stortura, la dittatura “scema” del romanzo nel mercato mondiale su cui gira autoreferenziale il mid-cult di massa dei lettori (fanno cassa)
Ecco: a che cosa è dovuta secondo te la sconfitta della poesia nel mercato editoriale? E perché ci tieni a specificare la superiorità della scrittura poetica (possiamo chiamarla così?) rispetto a qualsiasi altra forma di scrittura – c'è davvero poi una superiorità ancestrale da considerare?”
GIORGIO MANACORDA: “Non credo che il problema sia la metanarrativa. In quei versi contesto la confusione tra letteratura e story-telling e, certo, sostengo la “priorità” della poesia, visto che ho scritto un libro che si intitolava La poesia è la forma della mente (in parte rifluito in La poesia, Castelvecchi 2016)” “...In questo paese tutti scrivono poesie ma nessuno le legge - e si vede. Se le leggessero si venderebbero, e loro scriverebbero delle poesie decenti”.
YAWP: “Come è nata invece la collaborazione come curatore della collana poesia con Elliot? E come lavori con la poesia contemporanea italiana?”
GIORGIO MANACORDA: “Anche in questo caso l’idea è stata di Pietro D’Amore, e anche in questo caso ho risposto che non ero interessato. Pietro mi ha convinto proponendomi di pubblicare dieci libri l’anno e di firmare la collana. Due cose non proprio usuali nel panorama italiano”. “...Pubblico solo libri che mi piacciono. Non ci sono altri criteri. Ho mandato indietro libri di poeti pluripremiati e che hanno all’attivo molti libri. Non mi interessa il nome dell’autore, mi interessa il libro. Vale anche per gli stranieri. Inoltre faccio un grande lavoro di editing. Intervengo sulle singole poesie e sulle singole traduzioni, anche da lingue che non conosco. In italiano le poesie devono stare in piedi come poesie. Quindi grande dialogo con gli autori e con i traduttori - e molto lavoro”.
YAWP: “Come mai invece ripubblicare Coleridge?”
GIORGIO MANACORDA: “Non capisco la domanda. Perché non dovrei pubblicare (non ripubblicare) Coleridge, tra l’altro curato in modo perfetto da Edoardo Zuccato? Ho pubblicato anche Goethe, per dire, o George, e fra qualche mese uscirà Platen”. “... Non solo contemporanei”.
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