Il Rap in Italia si sta affermando in modo massificante. Al di là di un'analisi valutativa che già esiste e che ha dato origine ai consueti schieramenti tra un polo positivo e uno negativo, il fenomeno in quanto tale è oggettivo: nel farsi merce, oltre che musica, il genere ha dovuto/ha voluto adottare alcune logiche del mercato. Una tra le conseguenze dirette va a ledere quello che dovrebbe essere il ruolo dell'intervista. Non più analisi critica, ma oggetto promozionale, l'intervista sembra collaborare con il disco e accompagnarlo nella vendita, collaborare con l'autore e aiutarlo nella costruzione di un personaggio stereotipato.
Per fortuna non è sempre così. Qualche mese fa è uscito Mitridate, disco ufficiale del rapper milanese Axos. Gli spunti, letterari e non, sono molteplici, così come la struttura del disco, totalmente simbolista, ricca di richiami. Abbiamo deciso quindi di "farci una chiacchierata" con l'autore. E ne è venuto fuori questo.
A cura di Antonio Merola
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YAWP: "Cominciamo dall’inizio. Se è vero che il titolo dovrebbe esprimere, per quanto questo sia davvero possibile, la sintesi di un'opera d'arte, Mitridate sembra racchiudere, al contrario, una pluralità di direzioni. Figura leggendaria per diversi motivi, da un lato per l’eroica resistenza contro l’imperialismo romano, dall’altro per l’immunità da qualsiasi veleno allora conosciuto, Mitridate VI finisce per essere sconfitto su entrambi i fronti: il suo regno viene invaso e il re muore suicida con un pugnale nel petto. Qual è la differenza metaforica, secondo te, tra il veleno e il pugnale?"
AXOS: "Il veleno è una sposa spietata, ti entra dentro, ti ruba l'amore e ti lascia marcire fino a morire in te stesso. La differenza vera sta nell'essenza. Il pugnale viene creato per aprire un varco d'entrata e da quel varco far uscire la vita. Il veleno viene creato per entrarti nell'organismo e sconvolgerlo dall'interno. Per questo al veleno ci si abitua, per questo ho scelto Mitridate. Perché il veleno dimostra che l'uomo è in grado giorno per giorno di abituarsi, di modificarsi, per non sopperire all'esistenza. La materia e la sostanza. Il pugnale è il mezzo materiale, in questo caso è l'ultima parola".
Y.: «Organizzare giorno per giorno il proprio suicidio è pazzia
Lo stile è potenza isolatrice
Ogni atto di volontà è un atto magico».
L’incipit di Liberami dal male sembra evocare da un lato la poetica di Cesare Pavese, che con estrema lucidità ha programmato il proprio suicidio per anni, e dall’altro un’idea di volontà alla Nietzsche. Da che lato pende, secondo te, la bilancia tra un’idea di arte come atto creativo volontario e un’idea di arte come ispirazione trascendentale? Ed esiste secondo te un rapporto tra atto creativo e isolamento consequenziale dell’individuo che crea?"
A.: "Alla seconda domanda ti rispondo che Pavese e Nietzsche non c'entrano nulla. Non ho mai approfondito Pavese e Nietzsche non è di certo la mia prima fonte di ispirazione. Quell'incipit l'ho scritto in treno. Non in un particolare stato emotivo. Semplicemente credo nella magia e credo che l'ispirazione sia solo uno stato di connessione molto forte con l'universo. L'atto creativo è volontario dal momento in cui si vuole fare dell'ispirazione un atto magico, quindi creare l'oro dal nulla, quindi diventare una fonte di energia universale, quindi costruire un rapporto tra il trascendentale e il materiale. Un rapporto magico, un rapporto di luce estremamente tenebroso che si avvale dei simboli dei suoni e delle parole per palesarsi. La parola stessa poi diventa come i simboli una conseguenza dello stato di connessione con l'universo nel suo palesarsi".
Y.: "Qual è il rapporto che lega La Pluie al film Nel Paese delle creature selvagge, di cui citi una scena a inizio canzone?"
A.: "La tristezza va a braccetto con la solitudine. La felicità diventa un peso se non è condivisa. Non starò a recensire il film in sé ma consiglio a chiunque di guardarlo come se davanti avessero un vecchio viaggiatore muto.
La Pluie è un viaggio sofferente, freddo e solitario. Il mio approccio con l'ambiente del rap è stato difficile. Mi sono rapportato a una realtà sconosciuta e molto in fretta mi sono ritrovato tra quegli artisti che ascoltavo tutti i giorni, persone affermate, che non riuscivo a inquadrare ma che pensavo inconsciamente di conoscere bene. La droga è stata centrale nel mio disagio. A parte l'erba non ne ho mai fatto uso e proprio li si è creata da subito una divisione netta. Mi sono sentito un bambino in mezzo ai giganti eppure il mio "non chinarmi" mi ha fatto sentire re, il mio background mi ha fatto sentire diverso, ma solo, tra sguardi che sembravano chiedere compagnia ma in uno stato di solitudine interiore profondo. Il rapporto diretto col film è questo. Un bambino che ha risposte per tutti i suoi idoli, per tutte le sue proiezioni mentali, ma che poi in fin dei conti risponde solo a se stesso.
Y.: "In Black Mamba dici:
«Ho decodificato l’inferno, ora so leggere il fuoco,
raccontare l’eterno, la pelle nera abbraccia il sole
e non conosce inverno, siamo viventi impersonificati,
bambole da schermo».
Esiste un rapporto tra questa canzone e Una stagione all’inferno di Arthur Rimbaud? In particolare, con la sua concezione di “negro” come vero individuo?"
A.: "Non esiste un rapporto con Rimbaud perché semplicemente non ho mai letto nemmeno lui a parte ricordi scolastici vaghi. Come dicevo prima non mi ispiro direttamente, io creo e credo, assimilando quello che l'universo mi dà in dono e mi mette davanti. Per rispondere però alla domanda ti posso dire che si parla di essenza, di verità, di spazio e di tempo. La pelle nera abbraccia il sole e non conosce inverno è solo una verità. Black Mamba sono i sette passi per lasciarmi andare. Black Mamba è la canzone più completa che abbia mai scritto. È uno sfogo profondo. È la mia morte. È la canzone che voglio al mio funerale. L'ho scritta in seguito alla morte di Canserbero, ho capito quanto fosse importante raccontare l'eterno. Lui lo ha fatto lanciandosi da un balcone e io ho avuto il bisogno di lanciarmi con lui. Non te la so spiegare, non saprei recensirla in nessun modo. L'ha scritta la parte più profonda di me. Chiedermi risposte in merito a questo pezzo è come chiedere a un neonato perché piange".
Y. "A proposito della canzone Ricco mai. Non trovi sia un paradosso che il Rap, nato come movimento di protesta sociale e che nella condizione socio-economica disastrata dell’Italia attuale avrebbe forse dovuto trovare un terreno fertile maggiore rispetto a quello degli anni ’80-’90, anni d’oro dell’hip hop italiano ma anche anni di maggiore benessere nazionale, sia stato oggi assorbito da quello stesso sistema che tentava di combattere, relegato a genere commerciale e quindi annullando, almeno a livello di massa, la propria potenza rivoluzionaria? Non pensi che il Rap dovrebbe re-inventarsi attraverso nuovi moduli comunicativi più difficili da canalizzare dai media e quindi perpetuare in questo modo il proprio ruolo di “altra voce”?
A.: "Lo sto facendo. Serve supporto nell'attuare un cambiamento del genere e soprattutto servirebbe un maggior coinvolgimento di teste mature. Quelle teste che spesso sottovalutano l'hip hop. Il sistema che si è creato intorno al fenomeno hip hop mi fa schifo. È una accozzaglia di intenzioni basse. Arricchimento materiale individuale. Non ha potenza rivoluzionaria perché non ci sono rivoluzionari negli alti ranghi. Perché non frega a nessuno.
Come biasimare però chi sceglie di essere semplicemente artista. In un mondo che non si può cambiare dall'oggi al domani tutti pensano a godersi le proprie difficili esistenze. Giusto così, è giusto che ci siano due volti. La massa si sta abituando a un suono diverso dal pop e questo è già rivoluzionario di per sé. Tempo al tempo e con il giusto lavoro sempre più ragazzini impareranno ad ascoltare gli esempi più profondi dando ai loro coetanei a loro volta un esempio importante. Bisogna solo tenere alto il livello e lavorare con testa e ambizione. L'ambizione è chiaramente questa, risvegliare le coscienze, tu fai lo stesso intervistandomi. Continuiamo così. Portiamo sui palchi da 3000 persone i concetti affiancati al suono e avremmo vinto una battaglia gigantesca. Io ci sto provando ma ancora sono in pochi tra quei 3000 a cantare le mie canzoni. Gli altri mi guardano come se stessi delirando, però il suono piace. Non mi capiscono, ma impareranno, la vita di ognuno di loro farà da maestra in questo. Per il resto ci pensa la magia".
Y.: "Tutto il disco sembra pervaso da un senso del divino. Potresti raccontarci il rapporto che ha con la tua arte?"
A.: "Sono stato educato spiritualmente fin da piccolo. Dico spiritualmente e non religiosamente, attenzione. Ho passato la maggior parte della mia vita a pensare a Dio. A cosa potesse rappresentare. Al modo in cui crederci. La scienza mi ha aiutato. Ora non credo più in un Dio. Credo in tutti gli Dei e rispetto tutte le religioni anche se non condivido il pensiero religioso di per sé. In esse è racchiusa la verità celata. L'universo è energia, vibrazioni, onde, elettricità, ed è attraverso quelle energie che tutto nasce e tutto muore, energie che la coscienza ci permette di canalizzare. Noi siamo Dio perché abbiamo coscienza di essere. Se il pensiero dell'uomo si infetta si infetta l'universo. La mia arte è il mio rapporto con l'universo. È il mio modo di essere Dio. Il mezzo con cui cresco e con cui combatto e combatterò l'infezione del pensiero e dell'anima del mondo".
Y.: «Non siete come voi, voi siete come me» da Come me.
«Maledetto l’uomo che si affida all’altro uomo».
«Perché la vita è evoluzione, Darwin» da Kill the radio.
«Dai a me il tuo ego, quella smania di rivolta e abbracciami come la prima o come l’ultima volta» da Six Pills.
Il tuo disco propone un concetto di individualismo contrastante, a tratti negativo, isolatore, in altri punti, invece, capace di riappacificare l’io con il proprio mondo interiore. Parlacene un po’".
A.: "Questa è la storia della mia vita. Io che combatto con me stesso, io sociopatico e io animatore. È la "bipolarità" che di questi tempi appartiene un po' a tutti. Più che altro mi rendo conto che appare molto marcata nei miei testi ed è in effetti così tutti i giorni. In una giornata con me puoi chiederti almeno tre volte chi hai di fianco. Tutte e tre le volte probabilmente non riuscirai a rispondere".
Y.: «Un giorno sarò re, non quello vostro intendo, sarò l’antidoto al veleno che mi sta assorbendo».
Poison sembra essere la canzone che più di tutte sembra chiarire i punti oscuri del disco. Tuttavia, in altre canzoni, penso a Six Pills, ma più ancora a Polvere – perché nonostante tutto, lo dicevamo all’inizio, Mitridate alla fine muore – qualsiasi tentativo di superamento del sé sembra cedere di fronte alla potenza dell’amore, che in queste ultime due canzoni sembra davvero esprimere il concetto di amore e morte. Cosa ne pensi?"
A.: "A questa domanda rispondo brevemente. L'universo è composto da amore e paura. L'amore e la paura assorbono tutto. L'amore è connesso alla morte così come alla morte è connessa la vita".
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