top of page

Intervista | Silvia è un anagramma di Franco Buffoni



Leopardi era omosessuale? Questa domanda non ha a che fare con una semplice curiosità biografica. Come scrive Franco Buffoni nel suo nuovo libro Silvia è un anagramma (Marcos y Marcos, 2020): «Un grande poeta deve la sua grandezza anche alle esperienze e al vissuto, ergo anche alla sua affettività, al soddisfacimento o alla repressione dei desideri, alla lotta che è stato costretto ad ingaggiare con la sua contemporaneità. Affermare che qualcuno possa essere un artista prescindendo dalle proprie passioni è una pura astrazione». Con questo libro, che gli ha portato elogi ma anche numerose critiche, Buffoni apre una questione importante: che cosa ci racconta la nostra storia della letteratura?



Yawp: “Leopardi era omosessuale? Domande simili, quando sono state poste a qualcuno, è stato spesso per fargliene un processo. In Silvia è un anagramma invece esegui l'operazione opposta: ci sono elementi, come per esempio le lettere di Leopardi ad Antonio Ranieri, che sono state sempre sotto gli occhi di tutti. Eppure...”


Franco Buffoni: “Eppure non le si è volute leggere per ciò che sono: lettere d’amore d’un uomo per un uomo. Perché il disvalore intrinseco alla parola omosessuale impediva la riflessione oggettiva. Condita dal pietoso convincimento che nell’Ottocento quello fosse il tono normale delle lettere tra amici.”



Yawp: “La Francia ha avuto Rimbaud e Verlaine. Gli inglesi hanno avuto Wilde. Gli americani Truman Capote e Gore Vidal. C'è invece una accusa esplicita in Silvia è un anagramma contro l'occultamento sistematico da una parte della critica e delle accademie nei confronti della «letteratura omosessuale» in Italia. Che cosa ha significato questa passata di bianchetto per la letteratura italiana?”


Franco Buffoni: “L’effetto del neutro accademico eterosessuale è stato devastante per la reale comprensione di molti autori. Non si può pensare che gli omosessuali in poesia siano esistiti solo nel Novecento perché Saba Penna Pasolini e Bellezza lo hanno dichiarato. Vi sono interi capitoli che vanno riscritti alla luce degli studi di genere.”



Yawp: “Silvia è un anagramma così non racconta solo di Leopardi. Da Pascoli a Montale, a Sandro Penna, Palazzeschi e Gadda. Ma anche Magnus Hirschfeld o Karl Heinrich Ulrichs con l'esperienza della rivista in latino «Alaudae»: il tuo libro cerca di inquadrare le vicende personali di Leopardi in un contesto più ampio ed europeo. Hai voglia di raccontarci una di queste storie?”


Franco Buffoni: “Avendo a lungo compulsato la biblioteca di Monaldo, contino Giacomo sapeva che – dopo il profluvio di documenti letterari greci e latini sul tema – le Dionysiaca di Nonno Di Panopoli, composte tra il 390 e il 405, furono l’ultimo testo d’età classica volto a celebrare quel tipo di amore.Quando già le legislazioni cominciavano a farsi minacciose – con gli editti degli imperatori Costanzo II e Costante nel 342 e degli imperatori Teodosio e Valentiniano II nel 390 – Nonno volle dunque donare all’umanità un ultimo scampolo letterario d’ “amor greco”.


Poi per mille anni sarebbe calato un osceno silenzio poetico sul tema, infarcito di condanne sempre più cruente e ignominiose, aventi come dominante la storia di Sodoma narrata nel Libro della Genesi e le farneticazioni del più tardo Levitico.


Fino alla ripresa del respiro in epoca proto-umanistica, l’irruzione di Paolo di Tarso nelle lettere greche avrebbe dominato praticamente incontrastata, con le condanne di Crisostomo, Basilio e Agostino. Significativa, per altro, la via tracciata da quest’ultimo: dopo una giovinezza trascorsa a bruciare d’amore (anche per uno splendido ragazzo) giunge l’età matura della conversione con incorporata condanna dei piaceri della carne. Significativa perché la vedremo in replica fino al Novecento di Clemente Rebora.


Dopo le condanne d’epoca carolingia – col passaggio di millennio e l’inevitabile connessione tra sodomia ed eresia – contino Giacomo lesse il Liber gomorrhianus del ravennate Pietro Damiano del 1050, terribile contro i sodomiti, e naturalmente la Summa theologiae dell’Aquinate (1265), spietata nel catalogare la sodomia come il peccato più grave dopo l’omicidio.


Solerti nell’adeguarsi al diritto canonico, fin dai primi secoli del nuovo millennio i governi di molte città italiane cominciarono a emanare leggi che punivano la sodomia con l’amputazione di arti e il rogo se il soggetto era recidivo. Un’alleanza legislativa che proseguì per secoli, con la citazione del Levitico nelle sentenze di condanna.


Sorrideva amaramente contino Giacomo incontrando il verbo tedesco “florenzen”, che significa avere rapporti omosessuali, derivato dal sostantivo Florenzer, che significa fiorentino, ma anche sodomita.Erano diventati sinonimi, come scandalizzato predicava Bernardino da Siena all’inizio del Quattrocento. Facile l’equazione: Umanesimo = ripresa del respiro = sodomia. Al punto che a Firenze nel 1432 vennero istituiti i cosiddetti Ufficiali della Notte con il compito di portare in tribunale uomini e ragazzi colti in flagrante. Nella seconda metà del Quattrocento furono più di quindicimila i denunciati (tra questi anche Leonardo) e duemila i condannati al rogo.

Ma contino Giacomo sorrideva anche malizioso leggendo il contemporaneo commento di Marsilio Ficino al Simposio di Platone e compulsando il Castiglione e il Poliziano: Giove e Ganimede come daddy e twink. Chi sarebbe stato il suo daddy? Forse Adriano, sognandosi Antinoo? Oppure Aristogitone configurando sé stesso come Armodio?


Di certo non ne poteva parlare con il daddy vero, sulle prime fiero poi geloso di lui, delle sue doti letterarie. E nemmeno col fratello Carlo, che aveva in testa solo l’idea fissa delle contadine giovani a carponi. O con Paolina, affettuosa ma troppo intrigante e pettegola. Men che meno con la signora madre marchesa Adelaide, capace solo di benedire i figlioli morti con gli orrendi preti che le scorrazzavano per casa, buoni solo a citare malamente il Compendium di Alfonso Maria de’ Liguori. Il cui capitolo IV del Tractatus de sexto praecepto et noni Decalogi, invece, il contino leggeva con molta attenzione: “De peccatis luxuriae consummatae contra naturam”, dove si parla di “pollutio in ore”, “peccatum sodomiae” et cetera.


Ma “Bene vixit qui bene latuit”, come insegnava Cartesio dopo il processo a Galilei.

E di nascosto, solo di nascosto, il contino poteva leggere Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, uscito nel 1764 e subito messo all’Indice… Infine che cosa chiedeva Beccaria? Di usare la ragione: che senso avevano le confessioni ottenute sotto tortura? E quale danno provocava la sodomia esercitata tra persone consenzienti? Certamente non a caso le istanze di Beccaria erano state accolte all’Assemblea Costituente Rivoluzionaria parigina nel 1791, sette anni prima che lui nascesse; promosse niente meno che da Voltaire, un nome che solo a pronunciarlo Monaldo impallidiva. Ma quando lui aveva dodici anni e completava nel 1810 il suo trattato sull’astronomia (vanificando ore e ore di catechismo tolemaico), il Codice napoleonico veniva promulgato, sancendo definitivamente la depenalizzazione della sodomia.


Solo che, nello Stato pontificio, parlare di Codice napoleonico era peggio che bestemmiare: bisognava fuggire, andare dall’editore Stella nella Milano di Settala e Cardano, prima però che tornassero i viennesi: quelli erano peggio della marchesa e di Monaldo messi assieme.


Il tutto mentre la scienza medica per adolescenti e giovani uomini era ancora dominata dal trattato sull’onanismo di Tissot, uscito nel 1760: una vera condanna facente leva da un lato sulla sanzione biblica di Onan; dall’altro su pregiudizi spacciati per prove scientifiche, ponenti la masturbazione all’origine d’ogni malattia fisica e mentale, dagli sbocchi di sangue alla cecità alla pazzia.”



Yawp: “Quali sono state le «quattro fasi» a cui è andata incontro l'omosessualità? E quanto vedi lontano o vicino il passaggio dalla terza alla quarta fase?”


Franco Buffoni: “La prima lunga tristissima fase dell’omosessualità come peccato che diventa crimine – con conseguente necessità di punizione ed espiazione – apertasi con le persecuzioni del quarto-quinto secolo, si concluse idealmente in Italia solo nel 1886 con la pubblicazione dei Pervertimenti dell’amore di Paolo Mantegazza. L’eminente scienziato, facendo proprie le posizioni concettuali di Richard von Krafft-Ebing, sancì in modo definitivo che tali “pervertimenti” non dovevano essere puniti come crimini o peccati, ma “curati” con comprensione e umanità. Si aprì così ufficialmente anche da noi la seconda fase: quella della medicalizzazione dell’omosessualità.


Una posizione poi ribadita e rafforzata dalla diffusione del fondamentale studio diHenry Havelock Ellis e John Addington Symonds del 1897 Sexual Inversion che, individuato nel cristianesimo il motore della triade peccato-crimine-punizione, invocava indulgenza come in età classica e invitava a considerare il grande patrimonio di ricadute simboliche, poetiche e artistiche di cui l’inversione sessuale può farsi diretta o indiretta portatrice. Sembra di leggere il messaggio profondo del pascoliano Gelsomino notturno.


Contemporaneamente, con la diffusione delle teorie freudiane, la fase della medicalizzazione – assorbendo il concetto di innata bisessualità negli esseri umani – porrà le basi per il successivo passo verso la definizione dell’omosessualità come variante naturale dell’umana sessualità, piuttosto che come appannaggio di personalità disturbate. Quindi lentamente, molto lentamente, si cominciò a dubitare dell’efficacia di “rimedi” quali shock ormonali e terapie d'avversione.


Antesignano del passaggio dalla seconda alla terza fase fu il saggio The Homosexual in America di Edward Sagarin, apparso negli Stati Uniti nel 1951. Sotto lo pseudonimo di Donald Webster Cory, Sagarin impostò una ricerca sociologica equiparando la componente omosessuale della società alle altre componenti che pretendevano nuovi diritti, dalle donne ai neri. In sostanza Sagarin cercò di imporre il principio che l’argomento non solo non dovesse più essere affrontato in ottica moralistica e religiosa (come nella prima fase), ma che doveva essere rifiutato anche l’approccio medico-curativo (come nella seconda fase) per confluire esclusivamente in un interesse di tipo storico-sociologico, volto ad allargare lo spettro dei diritti civili da acquisire. Tali concezioni cominciarono a diffondersi in Italia a partire dalla contestazione sanremese del Fuori nel 1972 guidata da Mario Mieli.


Vi è poi una quarta fase, quella delle cosiddette società post-gay, dove l’adolescente non percepisce più alcuno stigma sociale se si innamora del compagno di banco invece che della compagna.In questa situazione ideale viene persino a mancare la spinta a dichiararsi orgogliosamente gay, perché tale condizione in una società post-gay è considerata assolutamente normale. Ciò già accade in alcune zone metropolitane del Canada e del Nord Europa. Per contro ricordiamo la dichiarazione dell’ex presidente iraniano Ahmadinejad (fermo alla fase uno) a una platea di studenti statunitensi, incerti se mostrarsi divertiti o scandalizzati: “In Iran gli omosessuali non esistono”.


Denominazioni furbette quali metrosexual e hipster, banalizzate e strumentalizzate da agenti e uffici-stampa, fanno oggi da schermo alla connaturata italica ritrosia (leggi: ipocrisia) a dichiarare con onestà il proprio orientamento sessuale. Per un Tiziano Ferro, che si decide a farlo dopo un decennio di permanenza nei paesi anglosassoni, in Italia continuiamo ad avere il principe della danza che si nega al coming out; come pure ben meritevoli vincitori del Festival di Sanremo e noti attori e calciatori. Tutti pronti a dichiarare – con atteggiamenti di superiorità da società post-gay – che non ha nessuna importanza se loro sono fidanzati con M o con F.

Certo, avrebbero ragione se non fossimo in Italia e se loro non fossero personaggi pubblici. Ma affinché in questo arretrato Paese anche le maestre d’asilo e gli impiegati di banca trovino il coraggio d’essere finalmente sé stessi in famiglia e sul lavoro, occorre che tale coraggio – alla faccia di agenti e uffici-stampa – l’abbiano anzitutto i protagonisti delle cronache artistiche e sportive.”



Yawp: “Quali sono secondo te gli autori contemporanei più rappresentativi della «letteratura omosessuale»?”


Per quanto riguarda la poesia italiana consiglio la lettura dell’antologia curata da Luca Baldoni Le parole tra gli uomini. A un giovane però consiglierei di iniziare dai classici, Whitman per esempio. L’anno scorso ho pubblicato Due pub tre poeti e un desiderio che contestualizza nell’Otto/Novecento l’avventura di Byron, Wilde e Auden: tutti e tre con forti presenze in Italia. Due must per capire da dove veniamo sono il Maurice di Forster l’Ernesto di Saba, entrambi pubblicati postumi. Poi Tondelli, certamente, e David Leavitt. Recentissimo Febbre di Jonathan Bazzi.


_______________


Franco Buffoni ha pubblicato i romanzi Più luce padre 2006 (premio Matteotti), Zamel 2009, La casa di via Palestro 2014, Il racconto dello sguardo acceso 2016 (finalista premio Joyce Lussu). L’Oscar Poesie 1975-2012 raccoglie la sua opera poetica. Con Jucci 2014 ha vinto il premio Viareggio, con La linea del cielo 2018 il CarducciPietrasanta. Del 2018 il libro-intervista Come un polittico che si apre e del 2019 Due pub, tre poeti e un desiderio, dedicato a Byron, Auden e Wilde, inaugura una narrazione critica della letteratura attenta alle problematiche identitarie di genere dei suoi protagonisti. Per approfondimenti: www.francobuffoni.it

0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page