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Racconto | D

Aggiornamento: 26 dic 2019

Daniela cammina tutti i giorni in strada insieme al suo cane. Si chiama Diego ed è un pitbull di venticinque chili, con una testa piuttosto grande, alto quasi mezzo metro. Daniela e Diego si svegliano tutti i giorni alle sei del mattino perché se Diego alle sei e dieci non sta già trotterellando sul marciapiede verso il parco vicino casa, cagherà sullo zerbino e poi pesterà la sua stessa merda spargendola per tutto l’appartamento. Daniela si sveglia ogni mattina, beve mezzo litro d’acqua in una botta sola, piscia quanto deve e poi si cambia i calzini, indossa le scarpe e il cappotto e afferra il guinzaglio di Diego, che scodinzola già davanti alla porta d’ingresso. Sembra che sorrida.

Diego era un cane da combattimento. Gli mancano entrambe le orecchie e ha il naso deforme perché metà gli è stato strappato da piccolo con un coltellaccio poco affilato, per rendere il suo aspetto minaccioso già al debutto. Prima che lo dessero in adozione, lo staff del canile che lo aveva trovato in fin di vita sul ciglio della strada e aveva dovuto aprire una campagna di crowdfunding per pagare la lunga lista di interventi di cui Diego aveva bisogno per tentare di sopravvivere a ciò che gli era stato fatto. Quando Daniela lo aveva adottato ne aveva nove e cominciava vagamente ad avere il muso imbiancato dal tempo. Era già stato riabilitato e addestrato e Daniela era stata la prima a volersi avvicinare a lui, fra i visitatori del canile. Principalmente perché, anche se Diego le fosse saltato al collo, lei non avrebbe avuto niente da perdere. Diego le era saltato al collo e le aveva quasi spaccato il naso inciampandole in un piede per la troppa gioia.

Quando Daniela camminava in strada insieme a Diego tutti li aggiravano. Diego muoveva freneticamente la coda a destra e a sinistra a prescindere dalle condizioni del meteo, a prescindere da Daniela e da qualsiasi altra cosa. Era un cane felice perché poteva cacare in compagnia tutte le mattine e poteva sonnecchiare insieme a Daniela mentre lei guardava la tv e poteva ululare quando Daniela suonava il pianoforte la domenica pomeriggio fra le cinque e le sei. I colleghi di Daniela le avevano detto che Diego era pericoloso e che quando l’avrebbe sbranata loro sarebbero accorsi a ridere sul suo cadavere martoriato; perché è così che si fa: quando uno adotta un cane si va a ridere sul cadavere di entrambi.

Daniela di riferiva a Diego come al suo coinquilino. Un coinquilino che doveva essere lavato, spazzolato, nutrito e portato in bagno come un bambino di tre anni che non ha ancora capito che deve bere dalla sua ciotola pulita e non dai sottovasi.

Daniela ha riempito il suo appartamento di piante e fiori ed è stata contenta di vedere che Diego non aveva la minima intenzione di importunare il suo piccolo giardino casalingo. A lui interessava solo dormire e farsi grattare la pancia. Era un cane felice anche se tutti gli dicevano che era inguardabile, perché non aveva le orecchie e gli mancava metà del naso. Daniela pensava che fosse molto bello e giornalmente lo baciava sulle cicatrici delle orecchie e sul naso e a Diego piaceva perché lo faceva sentire bene. Diego aveva una testa dalla conformazione molto divertente e a Daniela piaceva dire che il suo cane avesse “le chiappe in fronte”. Certe volte glielo diceva con la vocina che di solito si riserva ai bambini dai zero a quattro anni e Diego scodinzolava e abbaiava felice. Faceva tremare le pareti.

Diego era un cane felice. Camminava per strada ed era un cane felice, guardava Daniela che faceva la doccia ed era felice, aspettava che Daniela tornasse dal lavoro ed era felice, mangiava ed era felice, pisciava ed era felice. In particolare, era felice quando al parco poteva giocare con un nuovo amico. Quando Diego si faceva dei nuovi amici era un cane felice, ma era felice anche quando Daniela gli diceva Andiamocene perché il padrone dell’ennesimo locale era uscito urlando dalla porta del suo bar per dire che lui un cane così pericoloso non lo vuole. Quando le persone gli gridavano addosso, Diego scodinzolava e sorrideva con la sua enorme bocca, ben posizionata sotto la fronte percorsa centralmente da una linea dritta che lo faceva sembrare proprio un culo. Tanto più che non aveva le orecchie a sottolineare che quella era la testa di un cane e non un deretano color miele.

Diego non vedeva l’ora di tornare a trovare i suoi amici del canile ed era felice se pensava che i suoi amici gli avevano salvato la vita ed è felice perché i suoi amici e poi Daniela gli avevano fatto dimenticare come ci si sentiva ad essere frustato, sodomizzato, aizzato nel tentativo di diventare più cattivo, più feroce. Diego non ricordava più l’odore dell’uomo che gli aveva portato via parte del naso, ma sapeva che lo avrebbe riconosciuto se lo avesse sentito di nuovo. Forse avrebbe avuto un raptus, forse sarebbe scappato lontanissimo. Era un cane felice, senza orecchie, senza metà del naso. Gli piaceva il cibo umido e gli piaceva il cibo secco, ma principalmente gli piaceva il formaggio, che Daniela comprava solo per lui. Diego era felice che Daniela comprasse il formaggio solo per lui, all’alimentari all’angolo dove vendevano solo prodotti caseari locali. La proprietaria del locale voleva molto bene a Diego e quando Daniela e Diego andavano all’alimentari insieme, la signora dietro al bancone lo faceva sempre entrare e se non c’era nessun altro lo faceva gironzolare per il locale senza guinzaglio e Diego era felice perché significava che la signora dietro al bancone gli voleva bene e non pensava che fosse brutto, deforme o pericoloso. La signora gli dava sempre un pezzo di prosciutto di nascosto, perché pensava che Daniela non avrebbe approvato. La signora dietro al bancone aveva un odore dolciastro. A Diego piaceva sedersi accanto a lei quando era il momento di pagare il formaggio e gli piaceva poggiare la grossa testa sulle sue cosce morbide.

Il giorno in cui Daniela aveva deciso di adottare un cane era il giorno successivo al suo quarto tentativo di suicidio. Quella volta aveva lasciato perdere il taglio delle vene e l’overdose di farmaci; aveva cercato di farsi investire su una strada dove sapeva che nessuno rispettava mai il limite di velocità. Non era riuscita a fermarsi in mezzo alla carreggiata ed era arrivata dall’altra parte e si era pisciata addosso. Il giorno dopo aveva deciso di andare in canile e adottare il cane più brutto che ci fosse.

Al canile c’erano molti cani anziani, di tutte le taglie, e pochi cuccioli. C’era qualche gatto, una cagna con una nidiata di cagnolini e c’era Diego. Diego era seduto al centro della sua gabbia, coda in azione, in silenzio. Quando Daniela si era fermata davanti alla sua gabbia e aveva chiesto di entrare, Diego aveva aspettato paziente. Non vedeva l’ora di salutarla e gli aveva quasi rotto il naso.

Daniela aveva provato a togliersi dal mondo quattro volte e nessuno dei tentativi era andata a buon fine, nemmeno quello dopo il quale l’avevano rinchiusa in un ospedale psichiatrico per tre settimane. Dall’ospedale psichiatrico l’avevano buttata fuori dopo che Daniela aveva accettato di farsi scopare dal direttore della struttura, indossando un camice da medico. Mentre il direttore glielo spingeva dentro, Daniela aveva fissato le macchie bianche e giallastre sulle uniche mutande che aveva a disposizione, che non aveva smesso di indossare dal primo all’ultimo giorno. Daniela aveva acconsentito e la sera stessa era stata rilasciata. Era tornata a casa con l’autobus, senza capelli perché se li era malamente tagliati in bagno con delle vecchie forbici trafugate dalla scrivania del direttore. In ospedale le avevano dato molti farmaci, non aveva mai saputo quali. Aveva dormito per la maggior parte del tempo. Ai tempi aveva appena compiuto diciotto anni e sua madre, il giorno della dimissione di Daniela, era a lavoro. Quando era tornata a casa, aveva trovato sua figlia senza più un capello sul cranio che guardava un vecchio film in tv. Aveva pianto mentre Daniela non capiva davvero cosa stesse succedendo. Daniela aveva ripreso totale controllo delle sue capacità mentali e fisiche solo una settimana e mezzo dopo essere tornata a casa. Dopo vent’anni risentiva ancora i contraccolpi dei medicinali e del trauma cranico di quando aveva cercato di uccidersi sbattendo ripetutamente la testa al muro – che era il motivo per il quale era stata ricoverata.

Daniela aveva sbattuto la testa tante volte da provocarsi un ematoma interno che era stato necessario operare. Quando si era risvegliata con mani e piedi fermati dalle cinghie, aveva aspettato di recuperare le forze e poi aveva mandato a fanculo l’infermiera che le stava cambiando la sacca della flebo. L’aveva chiamata Stronza Puttana quando lei le aveva quasi lacerato il braccio con l’ago della flebo. Voleva dare una lezione a quella Stronzetta Puttanella Fuori Di Testa che le aveva fatto saltare la pausa sigaretta mentre era di turno al pronto soccorso.

Diego sapeva che Daniela gli somigliava, anche se non era deforme come lui. Lo sentiva nel suo odore e nel sapore delle lacrime che versava in alcune occasioni, spesso notturne. In quelle occasioni, Diego aveva il permesso di dormire con lei sul letto matrimoniale. A Diego piaceva il sapore delle lacrime di Daniela, lo trovava interessante. Il giorno dopo, era molto difficile convincere Daniela a portarlo in bagno. Nei giorni migliori, bastava insistere portando ai piedi del letto tutti i giocattoli che aveva a disposizione, nei giorni peggiori Diego era costretto a pisciare e cacare sul ciglio della porta nel tentativo di trattenerla il più possibile. La fatica che Daniela faceva per ripulire, quando trovava le forze di alzarsi, era più o meno la stessa fatica che aveva fatto Diego quando aveva dovuto camminare dopo il primo intervento.

Diego non si faceva problemi nell’indossare la museruola, perché sapeva che era per il bene di Daniela. Si faceva mettere quella gabbietta sul naso e la bocca ed era felice così. Andava ovunque con la museruola a passeggiare, a pisciare e cacare al parco. Giocava con gli altri pochi cani che gli si avvicinavano, con la museruola, e non gli importava veramente di avere una gabbietta sul muso. Qualcuno giocava con lui e questo lo rendeva un cane felice.

Come ogni sera, Daniela e Diego sono sdraiati sul divano e Daniela guarda la tv mentre Diego sonnecchia occupando gran parte dello spazio. Si godono la presenza l’uno dell’altra mentre Daniela si concentra sul film.

Suonano il campanello e Daniela mette il film in pausa. Si alza piano. Cerca di non svegliare Diego. Lui la segue. Vanno alla porta. Daniela guarda dallo spioncino e non vede nessuno, ma quando fa per tornare al divano qualcuno bussa. Fuori dalla porta non c’è nessuno. Diego è piuttosto confuso, scodinzola, poco convinto. Daniela apre la porca. Fuori non c’è nessuno. Quando Daniela richiude la porta, gira la chiave nella toppa e tenta di tornare nuovamente al divano, ma qualcuno suona il campanello.

Diego abbaia una volta e il campanello viene suonato di nuovo. La porta dell’appartamento di Daniela si trova dietro l’angolo del corridoio del primo piano.

Daniela inserisce il codice nella centralina dell’allarme antifurto e rimane paralizzata davanti alla porta. Diego abbaia di nuovo, per tre volte. Daniela guarda di nuovo dallo spioncino, ma anche questa volta non vede nessuno.

Diego abbaia un’altra volta, Daniela corre a chiudere tutte le finestre. Controlla in tutte le stanze, apre tutti gli armadi, accende tutte le luci. Una volta appurato che in casa non c’è nessuno, Daniela torna al divano insieme a Diego, che le si sdraia sulla pancia. Daniela allunga una mano verso il telefono sul tavolino da caffè e lo tiene stretto fra le mani mentre fa ripartire il film a volume abbastanza alto da consolarla ma abbastanza basso da poterle permettere di sentire eventuali rumori sospetti fuori dalla porta. Ogni tanto, Daniela si guarda intorno, come se casa sua fosse diventata improvvisamente quella di un’altra persona. Diego sembra molto calmo.

Alle due e trentasei del mattino, Daniela si addormenta senza rendersene conto. Diego scende dal divano e va a sedersi davanti alla porta. Non dorme per tutta la notte.

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