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Recensione | Calinifta di Daniele Bolognese


Che cos'è Calinifta? È l'ultima parola di un libro, prima di tutto. Calinifta è anche un pretesto, o meglio un pre-luogo, dove si intrecciano delle esistenze piccole piccole, quanto drammatiche nella loro piccolezza. È a Calinifta, una cittadina immaginaria del Meridione, che Daniele Bolognese ambienta il suo romanzo (Scatole Parlanti, 2021). Poche le coordinate: una piazza, un porto, il mare e da qualche parte la campagna, la centrale Villa Carmelo Bene. Per tutte queste ragioni, Calinifta, oltre a non esistere, è un palco spoglio. La città è i suoi stessi personaggi.


Che sono: Thomas Nùcridia, giovane scapestrato che si arrabatta come può, facendo da padre al suo stesso padre oramai nullafacente, dopo una fuga misteriosa della madre. Con Thomas, Bolognese scrive un mini-romanzo di formazione, alimentato da un dramma quotidiano, dall'abbandono e dalla ricerca ossessiva di un lavoro sempre precario, dove i Nùcridia sono gli ultimi in un paese di ultimi; forse il meno riuscito del romanzo, ma con un finale che vale quanto gli altri finali messi insieme. Don Giuseppe, prete alcolizzato e uno dei personaggi più interessanti di Bolognese, alle prese con il «demone» di Dino, il matto del paese, a cui all'improvviso piglia la voglia di uccidere. È interessante, non tanto la tematica noir, quanto il rapporto sottilissimo della vittima e del carnefice che Bolognese è capace di disegnare tra Don Giuseppe e la sorella di Dino, Maria, stuprata dal prete in passato, che al prete si rivolge per chiedere aiuto. Luigi e Roberto, tuttofare a chiamata per il Comune di Calinifta, dalle vite noiose e ignoranti, che uno dei due riuscirà a stravolgere, dopo una aggressione a mano armata subita da entrambi in una giornata come le altre.


Quella di Bolognese non è una scrittura sperimentale, ma le capacità del romanzo emergono via via che l'intreccio e l'intrecciarsi delle piccole esistenze dei personaggi si incontrano. La costruzione dei punti di vista è capace di mutarsi di continuo e così, anche se Calinifta ci è descritta molto poco, riusciamo a sentirne l'essenza vitale attraverso gli occhi dei suoi attori. In questa scatola chiusa che è Calinifta, Bolognese scompagina però le coordinate temporali, mostrando di sapere maneggiare con cura una suspense che, fino all'ultima riga, non abbandona mai il lettore; anticipando momenti che vengono risolti solo molti capitoli dopo e che, una volta esauritesi, aprono l'intreccio ad altre anticipazioni e ad altre risoluzioni, in una tensione continua, tra errori e strade che non portano a nulla, altre che invece portano le singole storie ad avanzare in un incrocio. C'è poi una ricerca minuziosa della gestualità in grado di suggerire delle psicologie: gesti apparentemente banali, una grattata di naso fuori luogo, il mangiarsi un'unghia, tic, nervosismi sono uno degli ingredienti più riusciti in questo romanzo, disseminati con ricchezza, quasi uno scherno al maldestro tentativo dei personaggi di nascondere i loro drammi: ciò che si cela da una parte, da un'altra fuoriesce.

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