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Recensione | L'isola che non c'era di Leonardo Bonetti

Aggiornamento: 23 ott 2021

Leonardo Bonetti approda sull’Isola che non c’era



È un libro sicuramente particolare quest’ultima prova letteraria di Leonardo Bonetti, già autore conosciuto nel panorama delle lettere italiane. L’isola che non c’era (edito da Il Ramo e la Foglia Edizioni, 2021) è di fatto una prova narrativa che a mio modesto avviso va a scardinare e ad analizzare il terreno sconosciuto dell’inconscio e quindi della vita che non è se non in una possibilità remota.


Facendo questo Bonetti si inoltra in un terreno, in una regione particolare, dal punto di vista ontologico e quindi esplorativo verso quelle realtà che ci rimangono in ombra.


Leo, il protagonista del romanzo, è un uomo senza qualità, un uomo probo e insipido da qualsiasi virtù possibile, medio per certi versi e che ricorda il soggetto del migliore Musil.


Proprio la sua condizione – questo essere tra i tanti – fa germogliare in lui l’idea di una fuga. La fuga che poi si realizza nell’isola che solo lui conosce, in quella messa tra parentesi geografica in cui accesso è consentito solo ai pochi, se non a se stessi. Ma quello che a me interessa sottolineare in questo mio intervento, non sta tanto nel rilevare alcuni aspetti della trama – sui quali mi censuro e muto resto per questioni deontologiche- quanto di fare una riflessione sull’isola e su cosa simboleggia, su cosa rappresenta.


Avendo raggiunto l’autore per telefono ed essendoci confrontati sul senso del libro, non mi resta difficile chiamare in causa Foucault e il discorso delle Eterotopìe come possibile immaginario di approdo. Un approdo che si riferisce ed inaugura l’entrata a gamba tesa in una eterotopìa, di una messa tra parentesi, di una realtà chiusa; nel nostro caso l’isola.


E l’isola che ci presenta Bonetti è un contesto chiuso, di autodeterminazione politica da una parte e di salvazione dall’altra. Leo ricerca l’isola perché stanco del solito trantran quotidiano, della realtà precostituita, ordinaria, della omologazione sociale e (forse) con un pizzico di libertarismo dello stato e approda di sua volontà sull’isola ricostruendosi una vita.


In pratica Leo, da buon libertario (almeno secondo me) ricostruisce un proprio stato sull’isola mettendo in pratica la speranza di una salvazione. Salvazione che è e va intesa come fuga dall’ordinario, dalle leggi, dalla giurisdizione e dai compartimenti stagni di uno stato precostituito. In altre parole, Leo cerca di costruire all’interno dell’isola tutto quel mondo lontano dagli standard quotidiani.


Tuttavia, mettendo in pratica la speranza – quindi non più coltivandola come sentimento interiormente – scopre un mondo formato da altre regole, da un’altra giurisdizione, se così possiamo dire, che è proprio delle società chiuse.

Leo scappando dal concreto, dal reale dal precostituito fonda un proprio universo, il proprio mondo costruendo in parallelo un altro e forse più significativo mondo. Ma come dicevo poco sopra, il mondo nuovo, L’isola che non c’era, serba a lui delle sorprese; ossia Leo inaugurando un suo mondo parallelo scopre che la natura fisiologicamente contiene in sé delle regole, delle leggi imprescindibili. Ogni realtà chiusa, infatti, deve essere assolutamente disciplinata per poter salvarsi a sua volta.

Al fine della mia lettura e per ottimizzare il racconto, intendo mettere per punti tutti gli elementi tipici delle società chiuse e che il Leo di Bonetti si trova a vivere per mettere in atto la sua speranza, la sua fuga.


A) L’autodeterminazione e l’aspetto autarchico della economia comportamentale


B) l’essere sganciato totalmente dal mondo esterno


C) il riconoscersi realtà a se stante e autonoma


In primo luogo, la sopravvivenza di Leo, dalle cose spicciole e più minute alle più importanti, si scontra con le leggi intrinseche che ogni società ha in sé. La prima è appunto l’autodeterminazione in senso politico del termine; vale a dire il dettarsi delle regole per la sopravvivenza. E l’isola del nostro protagonista è proprio questo: un mondo parallelo a quello precostituito che per esserci ha bisogno di un proprio codice di comportamento.


L’isola di Bonetti come il mondo dei giostrai, come i collegi, come i circensi, come tutte quelle istituzioni a sé e autonome vive di proprie regole. Si tratta di norme, per non dire leggi, innate, di dinamiche della natura che si esplicano nel quotidiano, mediante la sopravvivenza minuta e nelle grandi cose. Insomma, si esplicitano dalle cose pratiche a quelle più trascendenti.


Come ogni realtà autonoma, o messa tra parentesi che si voglia, sull’isola di Bonetti vi è una certa autodeterminazione in senso sociale prima che politico del termine. Una autodeterminazione che presenta inevitabilmente una autarchia sentimentale, una autarchia comportamentale che per essere tale interrompe ogni rapporto con il mondo esterno, altro da sé. Questa autodeterminazione è quindi una disciplina atta alla sopravvivenza e all’esistere.


In secondo luogo, queste peculiarità di carattere ontico interrompono ogni tipo di rapporto con il mondo esterno per crearsi una propria identità. E la non comunicazione con il mondo estraneo, precostituito porta inevitabilmente ad essere una realtà propria e a riconoscere una autonomia, mai ovvia o scontata.


Essere una realtà a se stante, produce da una parte un risultato sociale che sembra in apparenza scontato ma che non lo è. Come in tutte le eterotopìe, anche l’isola adotta una selezione per rintracciare l’elemento che può essere candidato al proprio contesto. Con un impeto quasi primordiale, Leo, ex sessantottino, malato di quotidiano e di (di)speranza, si trova a sua volta ad essere candidato e quindi a fare parte di un meccanismo di selezione che per natura, anche se quel mondo lo ha costruito lui stesso attraverso la propria fuga, ogni universo esplicita. Leo quindi fuggendo dal mondo precostituito, mettendo in pratica la propria fuga, in quel tentativo (riuscito?) di essere speranza, si trova a sua volta ad essere giudicato ma non dalle leggi dell’uomo come nella realtà che si è lasciato alle spalle ma dalla natura stessa.


Riuscirà il nostro eroe nel suo intento?


Invitando a leggersi il romanzo e non svelando nulla di quello che accade della trama, mi limito ancora a fare un paio di osservazioni.

La prima è: ma siamo sicuri che il desiderio di essere speranza, la fuga messa in atto e tutto il resto, conduce veramente Leo alla realizzazione di sé?


Bonetti la risposta ce la fornisce e non sono certo io a rivelarla. In secondo luogo, mi viene naturale domandarmi: ma è necessario inventarsi un mondo parallelo per sentirsi veramente vivi? E se provassimo noi tutti a migliorare il mondo in cui viviamo senza ricorrere ad alcuno artefizio o cose simili?


Bonetti risponde in un certo senso alle mie domande e lo fa attraverso il marchingegno della trama, degli incastri, componendo un mosaico di echi e possibilità. Il romanzo è infatti un’opera colta, piena di echi e di rimandi che solo a livello di assonanza ci ricordano Eco e il mondo rock di Edoardo Bennato. E tra L’isola del giorno prima, L’isola che non c’è, e quella del nostro Leo, vi affiora un mosaico tutto da costruire, un ventaglio di giorni ancora da vivere.



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